Daesh, Libia e Primavere Arabe: due interviste con lo storico Paolo Sensini

Presentiamo due belle interviste rilasciate dallo storico Paolo Sensini a due testate web nei giorni scorsi, dove egli affronta l’attuale evoluzione delle cosí dette “primavere arabe” (progetto forgiato da mani ‘atlantiste’ per provocare la destabilizzazione dell’area mediorientale e nord-africana in funzione nord-americana e sionista), le quali hanno generato il nascere di innumerevoli raggruppamenti di mercenari e bande terroristiche di matrice jihadista, tra cui spicca (per organicitá a tale progetto) DAESH, meglio conosciuto impropriamente come ISIS o ISIL, oggi mutante in ISES (Islamic State of Egypt and Sudan link1link2). Diciamo ‘impropriamente‘ perché approvare ed usare la definizione di ‘ISIS’ o ‘ISIL’ significa sancire che un manipolo di barbari criminali siano riconosciuti come ‘Stato’, cosa inaccettabile, mentre la semplice denominazione ‘Daesh’ si riferisce ad un’interpretazione araba discussa, tra il dispregiativo e l’identificativo di un movimento armato nato tra la Mesopotamia e l’Afganistan. ~ (TSL)

Paolo Sensini - Damasco 2012

“L’Is sfonda in Libia, ultimatum a milizie di Sirte”.

Il sedicente Stato islamico alla conquista della Libia.

Intervista di ‘Fatti Italiani’ allo storico Paolo Sensini.

Dopo l’ingresso nella città di Sirte, gli uomini di al Baghdadi hanno intimato alle milizie filo-islamiche locali di abbandonare la zona entro domani. E ora si teme per le sorti della capitale Tripoli, mentre l’Italia si dice pronta a un intervento militare. Della situazione nel Paese africano, Eugenio Bonanata ha parlato con Paolo Sensini, storico e autore dei libriLibia 2011“’ e “Divide et ImperaStrategie del caos per il XXI secolo nel Vicino e Medio Oriente”:

R. – Ora si chiama Is, ma questi gruppi dell’area del fondamentalismo jihadista sono lì da molto tempo. Moltissimi – per essere ancora più precisi – sono gli stessi che sono stati sostenuti per fare crollare Gheddafi; avevano altri nomi, ma erano legati a doppio filo con al Qaeda, e tutti lo sapevano. Erano gruppi legati ad altre file ma facevano parte di una costellazione che oggi chiamiamo Isis. Quindi, dobbiamo porre un punto interrogativo sulla gravità compiuta dall’Occidente, in particolare dalla Francia, dalla Gran Bretagna, dagli Stati Uniti e – purtroppo, a rimorchio – dall’Italia, che in qualche modo ha “segato” rami sui quali stava appoggiata, nel senso che con la Libia aveva rapporti molto stretti. Insomma, in questo modo abbiamo tolto l’unico presidio, cioè Gheddafi, che riusciva a controllare quell’area così turbolenta e complicata nello scacchiere nordafricano, e abbiamo dato il via al dilagare di questi gruppi che oggi si concretizzano nell’Isis.

D. – Qual è la prospettiva che abbiamo di fronte?
R. – Brutta. Molto brutta. Queste persone sono ingestibili, incontrollabili e piene di armi perché sono stati saccheggiati tutti i luoghi nei quali erano contenute le armi dell’esercito libico. Quindi, pensare a una loro pacificazione, a una loro gestione controllata, è pressoché impossibile e utopistico. Quindi, è ovvio che con queste persone puoi fare i conti solo militarmente. Ovviamente, fuori da un’opzione militare, null’altro è possibile e qui si apre una voragine dalla quale è veramente complesso venire fuori. E’ uno scenario sul quale si fatica a dire qualcosa di preciso. Di solito con questa gente qua, lo capiamo e lo sappiamo tutti, non è possibile trattare.

D. – Le milizie filo-islamiche attive sul terreno libico possono fare qualcosa?
R. – Sì, fanno quello che stanno facendo attuando questa politica del caos che non fa altro che mettere tribù contro tribù e creare un vero e proprio caos gestionale che, a mio avviso – ma non credo sia dietrologia, è così per qualsiasi analista geopolitico che conosca perfettamente la situazione di quell’area – era proprio quello che si voleva fare.

D. – Quindi, adesso ci dobbiamo aspettare un pronunciamento da parte della Nato o dell’Onu relativamente a un intervento armato?
R. – E’ evidente. Si è creato un problema e ora ci verrà data una soluzione. Speriamo che quella soluzione non sia ancora un’aggravante, cosa altamente probabile, visto l’andamento degli interventi Nato su tutti gli scenari: vedi Afghanistan, vedi Iraq, vedi Libia, vedi Siria, perché anche lì si è favorito un tipo di situazione di questo genere. Il “mostro sanguinario”, “dittatore” che da tutti ci è stato indicato – Bashar al Assad – è riuscito a contenerli e fa il lavoro che appunto noi oggi diciamo di voler fare: attaccare e togliere di mezzo questi terroristi. Loro lo stanno facendo sul campo dal 2011: è proprio quello che ora i Paesi occidentali blandiscono.

D. – Secondo lei, quanto rischia l’Italia?
R. – Molto. E lo capisce anche un bambino: sono a qualche centinaio di chilometri dalle nostre coste, è evidente che non è una situazione bella. Soprattutto con il flusso migratorio che abbiamo esattamente da quell’area lì, da quegli stessi ribelli che abbiamo appoggiato: sono loro che gestiscono la calata umana che da Derna, da Bengasi e dalle coste libiche – in particolare cirenaiche, ma anche della Tripolitania – arriva quotidianamente sulle coste italiane … Eugenio Bonanata, Radio Vaticana, Radiogiornale del 14 febbraio 2015.

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La “primavera araba” ha portato l’Isis in Libia.

Paolo Sensini, storico e autore di un saggio sulla guerra contro Gheddafi del 2011, analizza la situazione odierna del Paese risalendo alle radici della crisi.

Roma, 17 Febbraio 2015 (Zenit.org) Federico Cenci

“Avrete Bin Laden alle porte, ci sarà una jihad di fronte a voi, nel Mediterraneo”. Più che il colpo di coda dialettico di un dittatore ormai braccato, questo avviso che Mu’ammar Gheddafi lanciò nella sua ultima intervista – rilasciata nel 2011, pochi mesi prima di essere ucciso – appare oggi come una profezia. Miliziani che sfilano sotto le insegne dello Stato islamico avanzano nel Paese, mentre giornali italiani titolano preoccupati: “L’Isis è a sud di Roma”. Di cosa accade in Libia e di quali scenari potrebbero aprirsi, ZENIT ne ha parlato con Paolo Sensini, storico e autore dei libri Libia 2011 (ed. Jaca Book) e Divide et Impera – Strategie del caos per il XXI secolo nel Vicino e Medio Oriente (ed. Mimesis).

Chi sono i miliziani che hanno alzato la bandiera nera dell’Isis in Libia?

Paolo Sensini: ~ Sono gli stessi che nel 2011 – spalleggiati in tutto e per tutto da Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e poi anche dall’Italia – hanno compiuto la cosiddetta “primavera araba”. Queste persone che oggi rappresentano uno “spauracchio” venivano descritti nel 2011 come coloro che stavano portando in Libia la democrazia. Costoro, più o meno nell’ordine di un milione di persone armate fino ai denti, si stanno ora contrapponendo gli uni agli altri per guadagnare quanto più potere possibile. Oggi si parla tanto di Isis, ma in Libia esiste da tempo una miriade di sigle riconducibili tutte all’islamismo fondamentalista. La bandiera nera di al Qaeda è stata issata nei giorni in cui veniva ucciso Gheddafi: durante la rivolta sventolava sul Palazzo di Giustizia di Bengasi e sulla città di Derna, dove era stato istituito un Califfato. Nel tempo queste forze non hanno fatto altro che radicalizzarsi.

Qual è la situazione odierna?

Paolo Sensini: ~ Quello che ora sembra di vedere è l’incapacità del governo di Tobruk, cioè quello riconosciuto dall’Occidente e presieduto da Abdullah al-Thani, di gestire la situazione di totale caos. Di qui il suo tentativo di creare quanto più allarmismo possibile per coinvolgere nell’intervento militare anche i Paesi occidentali oltre che l’Egitto.

Intervento che potrebbe coinvolgere anche l’Italia?

Paolo Sensini: ~ Sarebbe una follia, per l’incapacità di gestire una situazione che vede sul terreno circa un milione di persone armate, disposte anche a portare avanti una guerriglia che troverebbe l’esercito italiano impreparato. E poi dovrebbero essere le Forze armate che hanno causato il disastro libico a farsi carico della situazione: innanzitutto la Francia. L’Italia non può sempre arrivare a “togliere le castagne dal fuoco”. Piuttosto, l’Italia dovrebbe fermare il flusso migratorio che proviene da quell’area: rispedendo verso le coste libiche i barconi carichi di immigrati dopo aver curato le persone più gravi. Così neutralizzerebbe la tratta di esseri umani e non alimenterebbe le ricchezze che i miliziani traggono dai disperati.

Dalle dichiarazioni che giungono da Palazzo Chigi appare comunque che la soluzione militare sia considerata una “extrema ratio”. Preliminarmente si stanno contemplando ipotesi diplomatiche, tra cui la nomina di Romano Prodi a mediatore Onu…

Paolo Sensini: ~ Romano Prodi era tra coloro che nel 2011 esercitarono pressioni verso un Berlusconi tentennante per spingere l’Italia in guerra. La prima responsabilità è però del presidente Napolitano, il quale, nonostante avessimo un accordo di amicizia con Gheddafi siglato nel 2008 e che contemplava addirittura l’intervento militare al fianco della Libia nel caso in cui fosse attaccata, sospinse con forza l’entrata dell’Italia in guerra. Non è il caso di affidarsi a chi ha provocato quel guaio, oggi testimoniato dalle condizioni in cui versa la Libia.

Mons. Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, in un’intervista al Corriere della Sera ha affermato che con Gheddafi c’erano anche “scambi di amicizia” ed era una personalità che “non faceva paura”…

Paolo Sensini: ~ Gheddafi, pur non avendo nel 2011 nessuna carica politica ma solo in virtù della sua grande capacità di leadership, gestiva le risorse del proprio Paese (petrolio, gas, acqua…) nella più totale autonomia e nell’ambito di una cooperazione con l’Italia. La cosa era per nulla gradita a potenze come Francia e Gran Bretagna, che ambivano ad avere maggiore influenza in Libia. C’è poi da dire che Gheddafi aveva la capacità di gestire la Libia laicamente e non su criteri confessionali, come invece fanno le potenze alleate dell’Occidente nei Paesi del Golfo provocando evidentemente l’approvazione occidentale. Questi i motivi reali che portarono all’intervento militare del 2011.

Concretamente quali danni ha subito l’Italia dalla guerra del 2011 e cosa rischia oggi, alla luce dell’aggravarsi della crisi libica?

Paolo Sensini: ~ I danni subìti sono enormi. Basti pensare che l’Eni ha avuto una diminuzione da un milione e mezzo di barili prodotti in Libia ogni giorno a 150mila. Poi vi è tutto un interscambio di infrastrutture, contemplato nell’accordo di cooperazione siglato nel 2008, che è venuto meno. Si tratta di una serie di immobili che avrebbero costruito compagnie italiane, ma su tutti spicca il progetto dell’edificazione di una strada litoranea che avrebbe dovuto duplicare la via Balbia, che era già stata costruita durante il ventennio fascista. Oggi il rischio è sotto i nostri occhi: l’afflusso di migliaia di clandestini che arrivano sulle nostre coste malgrado l’Italia non sia più nelle possibilità di assorbire immigrati. Cosa, quest’ultima, che la Libia faceva: era un Paese di 6milioni di abitanti che ospitava circa 2milioni di neri sub-sahariani. Oggi invece, a causa di quella sciagurata “primavera araba”, chi gestisce queste situazioni sono i miliziani che hanno dato vita a una vera e propria tratta di esseri umani.

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FONTI :
Fatti Italiani.it
Zenit.org
Ripubblicati da TerraSantaLibera.org alla pagina
https://terrasantalibera.wordpress.com/2015/02/23/paolo-sensini-daesh/

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